Commento a Rita Iacomino, “La rupe del biancospino”(Di Felice Edizioni, 2018)
a cura di Carla Sautto Malfatto
“La rupe del biancospino”(Di Felice Edizioni, 2018) di Rita Iacomino narra le vicende di Camilla e Rocco, incastonate in un piccolo paese abruzzese, tra il Gran Sasso e la Maiella da una parte e il mare Adriatico dall’altra, nel periodo che abbraccia le due grandi guerre. Non è romanzo di fantasia, come precisa l’Autrice più volte, e stupisce come Rita riesca, sulla base di memorie e informazioni, a ricucire episodi così dettagliati, dove non si nota l’aggiunta di tocchi di immaginazione (particolari che riguardano, p.es., la gestualità, i pensieri…) che rendono più umani e veritieri i personaggi (o, meglio, le persone) e le loro vicende. Una lettura fluida, quella proposta da Rita, e, come tante narrazioni di vita, ricca di normalità e straordinarietà, che rendono unica e irripetibile ogni esistenza. Con pacatezza, anche nelle situazioni più drammatiche, la penna di Rita è sempre quella che osserva e descrive “a tratti” e “dall’esterno”, delineando i personaggi attraverso episodi salienti e rappresentativi, astenendosi da giudizi, che lascia al lettore. Ne risulta una gradevole composizione a tempera, con sfumature e macchie di colore, talvolta più intense, e funzionali zone incolori – o meglio, che lasciano emergere il colore del foglio sottostante – per non appesantire l’esecuzione, saturare il ritmo narrativo scelto, e dare volume ai protagonisti attraverso “l’impressione”. Pregevoli le descrizioni paesaggistiche, che abbracciano le vicende, e la capacità di Rita di “far vedere”, “raffigurare”, persone, fatti, luoghi, catturando l’attenzione del lettore, estraniandolo dalla realtà: una transizione, dalle parole scritte alle immagini, che denota la valenza dei buoni scrittori. Emblematico il titolo del libro, che inconsciamente identifica la fermezza, la solidità, la fierezza e la selvatica asperità, ma al contempo, l’innata e prolifera generosità di Camilla, anch’ella “rupe”, anch’ella “biancospino”. Brusco – ma certo calcolato – il finale, una sorta di “sospensione”, che sembra rimandare ad un prosieguo in un nuovo volume.
Denore, 25/12/2018
Carla Sautto Malfatto
a cura di Carla Sautto Malfatto
“La rupe del biancospino”(Di Felice Edizioni, 2018) di Rita Iacomino narra le vicende di Camilla e Rocco, incastonate in un piccolo paese abruzzese, tra il Gran Sasso e la Maiella da una parte e il mare Adriatico dall’altra, nel periodo che abbraccia le due grandi guerre. Non è romanzo di fantasia, come precisa l’Autrice più volte, e stupisce come Rita riesca, sulla base di memorie e informazioni, a ricucire episodi così dettagliati, dove non si nota l’aggiunta di tocchi di immaginazione (particolari che riguardano, p.es., la gestualità, i pensieri…) che rendono più umani e veritieri i personaggi (o, meglio, le persone) e le loro vicende. Una lettura fluida, quella proposta da Rita, e, come tante narrazioni di vita, ricca di normalità e straordinarietà, che rendono unica e irripetibile ogni esistenza. Con pacatezza, anche nelle situazioni più drammatiche, la penna di Rita è sempre quella che osserva e descrive “a tratti” e “dall’esterno”, delineando i personaggi attraverso episodi salienti e rappresentativi, astenendosi da giudizi, che lascia al lettore. Ne risulta una gradevole composizione a tempera, con sfumature e macchie di colore, talvolta più intense, e funzionali zone incolori – o meglio, che lasciano emergere il colore del foglio sottostante – per non appesantire l’esecuzione, saturare il ritmo narrativo scelto, e dare volume ai protagonisti attraverso “l’impressione”. Pregevoli le descrizioni paesaggistiche, che abbracciano le vicende, e la capacità di Rita di “far vedere”, “raffigurare”, persone, fatti, luoghi, catturando l’attenzione del lettore, estraniandolo dalla realtà: una transizione, dalle parole scritte alle immagini, che denota la valenza dei buoni scrittori. Emblematico il titolo del libro, che inconsciamente identifica la fermezza, la solidità, la fierezza e la selvatica asperità, ma al contempo, l’innata e prolifera generosità di Camilla, anch’ella “rupe”, anch’ella “biancospino”. Brusco – ma certo calcolato – il finale, una sorta di “sospensione”, che sembra rimandare ad un prosieguo in un nuovo volume.
Denore, 25/12/2018
Carla Sautto Malfatto