IN PUNTA DI LIBRO……di Domenico Pisana
L’itinerario poetico di Rita Iacomino nelle sue tre sillogi: “Formato A4”, “…e mi fingo poeta” e “Ostriche a mezzogiorno”.
27 agosto 2018 RADIORTM.IT
L’itinerario poetico di Rita Iacomino nelle sue tre sillogi: “Formato A4”, “…e mi fingo poeta” e “Ostriche a mezzogiorno”.
27 agosto 2018 RADIORTM.IT
In una contemporaneità che sembra aver reso tutto liquido, virtuale, artificiale, senz’anima, direi di plastica, imbattersi in una “Poesia del sentimento” ( si badi all’etimo del termine) come quella di Rita Iacomino, è un vero piacere.
Sin dalla silloge d’esordio del 2012, dal titolo “Formato A4”, Ibiskos Editrice Risolo, l’autrice si propone al lettore con un genotesto poetico imbevuto di sentimento; dettame, questo, essenziale nella poesia, ma anche abusato, al punto che , spesso, induce la critica sociologista e strutturalista a sottovalutarlo o ritenerlo di secondario ordine. Questo perché il lemma “sentimento” viene ridotto, come purtroppo avviene oggi, alla parte dell’animo che riguarda le emozioni, fino, addirittura, ad opporlo alla ragione, tant’è che si sente dire spesso, ad esempio, che la poesia non è un insieme di buoni sentimenti e che bisogna evitare di scriverla sull’onda del sentimento per non rischiare di trasformarla in un genere intimistico, autoconsolatorio ed emozionalistico, in una sorta di diario di bordo dove tutto diventa sentimentalismo idilliaco.
Ma in Rita Iacomino le cose stanno diversamente, perché nella sua poesia il sentimento si dispiega secondo il “proprium” della tradizione letteraria, ossia con il significato di un valore inteso (la lezione di Leopardi in questo senso è grande) come “facoltà del vedere, dell’intuire e del sentire”, mediante cui è possibile conoscere la verità non solo con la ragione ma anche con il cuore.
Nella poesia di Rita Iacomino il sentimento, dunque, non esprime semplici stati d’animo, ma il senso di se stessa, la coscienza pensante della sua esistenza; e la coscienza, chiaramente, non è mero emozionalismo ma è pensiero, è spiritualità, è etica, estetica, metafisica, è conoscenza alla maniera di Blaise Pascal, cioè – direbbe Guardini – di un “ordre du coeur” (ordine del cuore), di una “logique du coeur” (logica del cuore).
Nella silloge “Formato A4”
il sentimento si rivela l’asse portante attorno al quale Rita Iacomino parla di se stessa su un “foglio nascosto / nella risma bianca”, percependosi come autrice che sbatte “contro l’invisibile / per toccare un po’ di cielo”; e grazie a queste percezioni, disvela il suo mondo coscienziale che, in fondo, appartiene a tutti:
“…Scappo dagli inganni
della memoria
e danzo sull’orlo
delle onde.
I sogni
diventano nebbia.
Allargo le sbarre.
Volo.
( Ali)
“…E’ una rivista la vita
e di pagina in pagina
si arriva in questa piazza.
Troppi rumori
in una lacrima”.
(Altri suoni)
La versificazione della Iacomino è insomma una “finestra” sulla sua vita trasfigurata con immagini che ne esprimono la semantica più vera ed autentica, senza ricorso ad alchimie d’incanto.
La vita per la poetessa è “Un fiore, / un battito d’ali / mille petali profumati / che il vento disperde / nel mondo…”; “…Un mare di cemento, /anonimi volti / che si sfiorano / in una nebbia / indifferente; la vita è percezione e conoscenza del sentimento del buio (“…E’ notte, / lo specchio mi guarda / e rilascia immagini distorte…”) e dell’ attesa ( “…Aspetto la notte / sospesa nel silenzio / e non hanno parole / gli astri che brillano); ed ancora, del dolore ( “Rido, / piango, / e prendo in mano il tempo / per annullare / il dolore”) e del sogno: “…trascino le gambe / verso i sogni”; “…Il sogno / prende per mano / il tempo / attraverso le carezze / vissute ieri.”; “…Respiro / l’acqua limpida / che scorre sui sassi / levigati della riva / e raccoglie / i miei sogni”.
Milan Kundera ne “La vita altrove” afferma che “con le poesie il poeta lirico disegna il proprio autoritratto”; ebbene, mi pare che con questa sua prima raccolta poetica Rita Iacomino disegni proprio il suo autoritratto, con la consapevolezza di voler capire e costruire l’immagine di se stessa nonché di donna con una forte passione esistenziale.
Sin dalla silloge d’esordio del 2012, dal titolo “Formato A4”, Ibiskos Editrice Risolo, l’autrice si propone al lettore con un genotesto poetico imbevuto di sentimento; dettame, questo, essenziale nella poesia, ma anche abusato, al punto che , spesso, induce la critica sociologista e strutturalista a sottovalutarlo o ritenerlo di secondario ordine. Questo perché il lemma “sentimento” viene ridotto, come purtroppo avviene oggi, alla parte dell’animo che riguarda le emozioni, fino, addirittura, ad opporlo alla ragione, tant’è che si sente dire spesso, ad esempio, che la poesia non è un insieme di buoni sentimenti e che bisogna evitare di scriverla sull’onda del sentimento per non rischiare di trasformarla in un genere intimistico, autoconsolatorio ed emozionalistico, in una sorta di diario di bordo dove tutto diventa sentimentalismo idilliaco.
Ma in Rita Iacomino le cose stanno diversamente, perché nella sua poesia il sentimento si dispiega secondo il “proprium” della tradizione letteraria, ossia con il significato di un valore inteso (la lezione di Leopardi in questo senso è grande) come “facoltà del vedere, dell’intuire e del sentire”, mediante cui è possibile conoscere la verità non solo con la ragione ma anche con il cuore.
Nella poesia di Rita Iacomino il sentimento, dunque, non esprime semplici stati d’animo, ma il senso di se stessa, la coscienza pensante della sua esistenza; e la coscienza, chiaramente, non è mero emozionalismo ma è pensiero, è spiritualità, è etica, estetica, metafisica, è conoscenza alla maniera di Blaise Pascal, cioè – direbbe Guardini – di un “ordre du coeur” (ordine del cuore), di una “logique du coeur” (logica del cuore).
Nella silloge “Formato A4”
il sentimento si rivela l’asse portante attorno al quale Rita Iacomino parla di se stessa su un “foglio nascosto / nella risma bianca”, percependosi come autrice che sbatte “contro l’invisibile / per toccare un po’ di cielo”; e grazie a queste percezioni, disvela il suo mondo coscienziale che, in fondo, appartiene a tutti:
“…Scappo dagli inganni
della memoria
e danzo sull’orlo
delle onde.
I sogni
diventano nebbia.
Allargo le sbarre.
Volo.
( Ali)
“…E’ una rivista la vita
e di pagina in pagina
si arriva in questa piazza.
Troppi rumori
in una lacrima”.
(Altri suoni)
La versificazione della Iacomino è insomma una “finestra” sulla sua vita trasfigurata con immagini che ne esprimono la semantica più vera ed autentica, senza ricorso ad alchimie d’incanto.
La vita per la poetessa è “Un fiore, / un battito d’ali / mille petali profumati / che il vento disperde / nel mondo…”; “…Un mare di cemento, /anonimi volti / che si sfiorano / in una nebbia / indifferente; la vita è percezione e conoscenza del sentimento del buio (“…E’ notte, / lo specchio mi guarda / e rilascia immagini distorte…”) e dell’ attesa ( “…Aspetto la notte / sospesa nel silenzio / e non hanno parole / gli astri che brillano); ed ancora, del dolore ( “Rido, / piango, / e prendo in mano il tempo / per annullare / il dolore”) e del sogno: “…trascino le gambe / verso i sogni”; “…Il sogno / prende per mano / il tempo / attraverso le carezze / vissute ieri.”; “…Respiro / l’acqua limpida / che scorre sui sassi / levigati della riva / e raccoglie / i miei sogni”.
Milan Kundera ne “La vita altrove” afferma che “con le poesie il poeta lirico disegna il proprio autoritratto”; ebbene, mi pare che con questa sua prima raccolta poetica Rita Iacomino disegni proprio il suo autoritratto, con la consapevolezza di voler capire e costruire l’immagine di se stessa nonché di donna con una forte passione esistenziale.
2. “.…e mi fingo poeta”
Dopo l’esordio, caratterizzato da una resa connotativa correlata al “fenomeno di crescita tipico in ogni iter iniziale” come dice Montale , il percorso poetico di Rita Iacomino comincia ad avere una “Weltanschauung” più chiara nella seconda raccolta poetica, dal titolo “…e mi fingo poeta” del 2015. Qui il verso si allunga ed anche la struttura formale si affina; l’autrice dà al suo sentimento un orizzonte più problematico e il suo aderire alla vita approda alla pagina con una azione di scrittura che diventa più convincente, suscitando interesse e attesa. Il titolo di questa seconda raccolta ha in sé una logica dichiarativa che, se non ben compresa, potrebbe depistare il lettore. “Fingersi poeta” potrebbe indurre a pensare a mancanza di autenticità del dettato interiore, atteso che nell’immaginario collettivo il fingere richiama simulazione, ipocrisia, inganno, raggiro, falsità, bugia, menzogna; così non è in questa silloge, dove, al contrario, il “sentire poetico” della Iacomino assume toni ancora più veri e ricchi di pathos di umanità, essendo la “finzione” da intendersi nel suo senso etimologico originario di “toccare” ed, in senso più ampio, di “plasmare”, foggiare, nonché nel suo significato di costruzione psichica della mente e di unica porta, per l’uomo, di accesso alla realtà e al suo mondo interiore, oltre che come possibilità di cogliere “la verità senza realtà”.
La versificazione di Rita Iacomino ha pertanto , in questo senso, una forte capacità di plasmare la realtà e di evocare nel suo io più profondo una piacevole costruzione di immagini:
“…e mi fingo poeta
fotografando immagini”
mentre l’inchiostro
scorre
su ruvida carta,
senza parole”.
( Fantasia)
E sono immagini di forte impatto semantico quelle che la poetessa fotografa, ove si scorge una dinamica polisemica che apre strade di riflessione nel cuore del lettore : “La notte parla di fate / già sole”; “il vento raccoglie emozioni / e forma / pensieri d’amore”; “Gocce silenziose e taglienti / scivolano lentamente”; “Ombre, / come aghi di pino / scavano terre inesplorate”; “il muro in mezzo al petto”; “cicatrici mai guarite”; “cespugli spinosi, / salati / induriti”; “spazi vuoti / fatti di abbandoni”; “Spiagge senza sabbia, /solo sassi bianchi levigati /dalla risacca salata”; “ali spiegate”; “petali di fiori”; “lacrime di sale”.
Dentro questa geometria di immagini Rita Iacomino tesse il suo mondo relazionale con un maneggio espressivo armonico e musicale, una cifra concettuale di respiro cosmico ed una declinazione del verso giuocata all’interno di un’ empatia con il tempo, le stagioni, la natura: si leggano, a proposito, le poesie “Autunno”, “Dalla terra alla luna”, “L’alba”, “Luna liquida”, “Rosso come il tramonto”, “Dune”, “L’edera”, “Alba nuova sul mare”, “Universo”.
Il corpus poetico di “…e mi fingo poeta” trasuda, dunque, di sensazioni vissute hic et nunc, nello spazio di attimi concreti, di intuizioni dell’anima trasfigurate con immagini, poi condotte nella direzione di un tipico sintagma simbolista e rivestite di scenari naturalistici:
“Tiepida la sera si schiude
in un silenzio innaturale
e incontra la luce della luna.
Non pesa la notte
se Morfeo guida il sonno
su isole trasparenti.
Ma i fiori non hanno più terra
e inclinano corolle appassite
senza profumo…”
(Alba nuova sul mare)
Questa seconda raccolta di Rita Iacomino si pone in un rapporto di continuità con la prima, atteso che vi si riscontra il filo di una motivazione unitaria sul versante dello scavo interiore e del sentire dell’anima; tuttavia la supera sul piano formale, dell’arricchimento del costrutto poetico, del plesso semantico e delle sintesi creative. A fondamento di “…e mi fingo poeta” c’è una spiritualità in azione, una lettura del mistero della vita nel suo scorrere tra gli inganni del tempo, le gioie e gli accadimenti: “E’ un bivio alla frontiera / la mia identità. / Un cammino lungo / fatto di transiti e cambiamenti, / dove l’amore diventa / l’essenza della vita”…
Anche i luoghi (Lourdes, l’Etna), in questa raccolta, diventano essenza di un itinerario poetico che interagisce con gli spazi e con i valori che essi esprimono: “…Mani / hanno toccato acqua / e occhi / hanno perso lacrime , / emozioni mai dimenticate / rivivono in ogni attimo…”, in “Lourdes”.
La poetessa usa, così, il linguaggio della poesia non per alienarsi dal mondo, ma per dare anche alle cose più semplici, agli attimi, agli oggetti, ai luoghi e alle verità più segrete della vita un significato emblematico e una direzione di senso e di destino.
Dopo l’esordio, caratterizzato da una resa connotativa correlata al “fenomeno di crescita tipico in ogni iter iniziale” come dice Montale , il percorso poetico di Rita Iacomino comincia ad avere una “Weltanschauung” più chiara nella seconda raccolta poetica, dal titolo “…e mi fingo poeta” del 2015. Qui il verso si allunga ed anche la struttura formale si affina; l’autrice dà al suo sentimento un orizzonte più problematico e il suo aderire alla vita approda alla pagina con una azione di scrittura che diventa più convincente, suscitando interesse e attesa. Il titolo di questa seconda raccolta ha in sé una logica dichiarativa che, se non ben compresa, potrebbe depistare il lettore. “Fingersi poeta” potrebbe indurre a pensare a mancanza di autenticità del dettato interiore, atteso che nell’immaginario collettivo il fingere richiama simulazione, ipocrisia, inganno, raggiro, falsità, bugia, menzogna; così non è in questa silloge, dove, al contrario, il “sentire poetico” della Iacomino assume toni ancora più veri e ricchi di pathos di umanità, essendo la “finzione” da intendersi nel suo senso etimologico originario di “toccare” ed, in senso più ampio, di “plasmare”, foggiare, nonché nel suo significato di costruzione psichica della mente e di unica porta, per l’uomo, di accesso alla realtà e al suo mondo interiore, oltre che come possibilità di cogliere “la verità senza realtà”.
La versificazione di Rita Iacomino ha pertanto , in questo senso, una forte capacità di plasmare la realtà e di evocare nel suo io più profondo una piacevole costruzione di immagini:
“…e mi fingo poeta
fotografando immagini”
mentre l’inchiostro
scorre
su ruvida carta,
senza parole”.
( Fantasia)
E sono immagini di forte impatto semantico quelle che la poetessa fotografa, ove si scorge una dinamica polisemica che apre strade di riflessione nel cuore del lettore : “La notte parla di fate / già sole”; “il vento raccoglie emozioni / e forma / pensieri d’amore”; “Gocce silenziose e taglienti / scivolano lentamente”; “Ombre, / come aghi di pino / scavano terre inesplorate”; “il muro in mezzo al petto”; “cicatrici mai guarite”; “cespugli spinosi, / salati / induriti”; “spazi vuoti / fatti di abbandoni”; “Spiagge senza sabbia, /solo sassi bianchi levigati /dalla risacca salata”; “ali spiegate”; “petali di fiori”; “lacrime di sale”.
Dentro questa geometria di immagini Rita Iacomino tesse il suo mondo relazionale con un maneggio espressivo armonico e musicale, una cifra concettuale di respiro cosmico ed una declinazione del verso giuocata all’interno di un’ empatia con il tempo, le stagioni, la natura: si leggano, a proposito, le poesie “Autunno”, “Dalla terra alla luna”, “L’alba”, “Luna liquida”, “Rosso come il tramonto”, “Dune”, “L’edera”, “Alba nuova sul mare”, “Universo”.
Il corpus poetico di “…e mi fingo poeta” trasuda, dunque, di sensazioni vissute hic et nunc, nello spazio di attimi concreti, di intuizioni dell’anima trasfigurate con immagini, poi condotte nella direzione di un tipico sintagma simbolista e rivestite di scenari naturalistici:
“Tiepida la sera si schiude
in un silenzio innaturale
e incontra la luce della luna.
Non pesa la notte
se Morfeo guida il sonno
su isole trasparenti.
Ma i fiori non hanno più terra
e inclinano corolle appassite
senza profumo…”
(Alba nuova sul mare)
Questa seconda raccolta di Rita Iacomino si pone in un rapporto di continuità con la prima, atteso che vi si riscontra il filo di una motivazione unitaria sul versante dello scavo interiore e del sentire dell’anima; tuttavia la supera sul piano formale, dell’arricchimento del costrutto poetico, del plesso semantico e delle sintesi creative. A fondamento di “…e mi fingo poeta” c’è una spiritualità in azione, una lettura del mistero della vita nel suo scorrere tra gli inganni del tempo, le gioie e gli accadimenti: “E’ un bivio alla frontiera / la mia identità. / Un cammino lungo / fatto di transiti e cambiamenti, / dove l’amore diventa / l’essenza della vita”…
Anche i luoghi (Lourdes, l’Etna), in questa raccolta, diventano essenza di un itinerario poetico che interagisce con gli spazi e con i valori che essi esprimono: “…Mani / hanno toccato acqua / e occhi / hanno perso lacrime , / emozioni mai dimenticate / rivivono in ogni attimo…”, in “Lourdes”.
La poetessa usa, così, il linguaggio della poesia non per alienarsi dal mondo, ma per dare anche alle cose più semplici, agli attimi, agli oggetti, ai luoghi e alle verità più segrete della vita un significato emblematico e una direzione di senso e di destino.
3. Ostriche a mezzogiorno
“Ostriche a mezzogiorno” è la terza raccolta di Rita Iacomino, ove emerge una poetica in evoluzione e si coglie una incisiva maturità espressiva ed evocativa grazie all’uso di parole che nelle sue liriche “sembrano caricarsi – come scrive Alessandro Quasimodo nella prefazione – di luce ogni volta che sono pronunciate nella lettura”; lettura che egli stesso – afferma – “ama fare ad alta voce: carezza, attesa, sole, mare, sabbia, onde, sogno, inquietudine , solitudine. Brillano e sprigionano il potere evocativo grazie al quale chi legge può immediatamente vedere”.
Anche il titolo di questa terza opera contiene in sé una dichiarazione di poetica; l’ostrica del resto, sin dall’antichità ha avuto un richiamo simbolico, e di essa si è infatti scritto che “emerge dal mare nelle prime ore del mattino, e la sua conchiglia apre la bocca, assorbe la rugiada celeste e il raggio del sole e della luna e delle stelle, e con la luce degli astri superiori produce la perla” (Physiologus-opera redatta ad Alessandria d’Egitto, tra il II e il IV secolo d.C. da autore ignoto).
Ed ancora lo scrittore Plinio dice che “le ostriche nel tempo degli amori si aprono quasi sbadigliassero, si riempiono di rugiada che le feconda e partoriscono poi perle”, mentre nel mondo greco-romano le ostriche erano un cibo ricercato, tant’è che se ne occupa Strabone nella sua “Geografia”, e il poeta Ausonio, nel IV secolo, si cimenta nella stesura di una vera e propria monografia sulle ostriche della Gallia.
Insomma nell’ostrica troviamo una “cifra simbolista” che richiama l’amore, la bellezza, la fertilità, la reciprocità relazionale ed erotico-sessuale; ebbene, su questo versante metaforico e di connotazione simbolica poggia la struttura della raccolta “Ostriche a mezzogiorno”, la quale opera un passaggio dal piano empirico, nel quale le ostriche sono solo considerate cibo raffinato e di lusso da accompagnare con champagne, a quello metafisico, ove le ostriche diventano simbolo dell’amore e dell’ “essenzialità femminile creatrice”; e così, dunque, nella prospettiva poetico-simbolica della Iacomino le ostriche diventano elemento di grande valore umano ed etico, valore di cui appropriarsi ed assimilare quasi come il cibo , “a mezzogiorno” appunto, vale a dire nella quotidianità e nella ferialità della vita e non in occasioni particolari.
L’ostrica di Rita Iacomino è allora la perla della vita “ dove si nasconde / una storia indimenticabile”; rappresenta l’essenza più vera del sentimento dell’amore (“…E fra le pagine polverose / di una memoria viva /, risuona caldo e persistente / sulla bocca, il tuo respiro…”); di un amore che conosce passioni, slanci, ammiccamenti, motivazioni ma anche delusioni: “…Effimera felicità, / forse arriverai domani, / un po’ velata di amarezza e illusione …”; “…Ogni momento è un dono, / l’amore non chiede nulla, solo amore…”.
E’, insomma, un inno alla bellezza della vita e dell’amore nel suo divenire quotidiano questa terza silloge della Iacomino, dove gli elementi archetipici e naturali ( acqua, luce, cielo, fuoco, fiume, mare, notte, luna, sole) vengono declinati nella forma poetica per esprimere sentimenti che pulsano nella sua anima:
“…Ti amo, sussurra l’acqua al fiume”…; – “Odore di fuoco, / allungo le mani e ti cerco…/ Non so rassegnarmi al ricordo di baci proibiti, / all’onda che spinge alla riva / e a te che sussurri / ‘ti amo’…”; – “…E’ un enigma questa notte, / forse passerà un angelo / dirà ‘amen’ e ti vedrò…; – “…Sei lontano e sono lontana, ho consumato il tempo dei momenti magici / prima di lasciarci, / e sogno, / sogno ancora di volare…”.
Un fluire oscillante di sentimenti affettivi tra gioia e malinconia, ricordi e nostalgie, rivisitazioni di spazi temporali e nuove attese (“Sono in attesa / di un tempo che scandisce / lentamente le lancette / mentre il cuore accelera i suoi battiti…”) anima , pagina dopo pagina, la versificazione della Iacomino, che sa tradurre armonicamente in poesia quel sentimento dell’amore che ha sempre rappresentato, dalle origini della storia della letteratura, una tematica fondamentale della poesia di tutti i tempi.
Se poeti hanno visto l’amore come una forza crudele e travolgente, se c’è chi ha espresso con raffinatezza aristocratica, grazia e gentilezza il tema dell’amore, se c’è chi, come Catullo ne ha cantato il volto distonico fino a creare il binomio amore-odio, c’è anche Rita Iacomino che mostra, dalla sua angolazione poetica, di credere nel valore dell’amore:
– come luogo di senso e di significato del vivere;
– come reciprocità di dono corporeo: “…Ho messo lenzuola pulite stasera , / era un gioco tra noi. / Rosse, / come il sangue che pulsa / ingannando l’attesa…”; – “…vibra il corpo / come un’orchestra / che suona / una musica senza fine / in attesa di te”;
– come lamento nel silenzio della solitudine: “…Vorrei fermare il tempo / e inebriare la mente / con le immagini di ieri./ Ma lacrime che non ho pianto /spengono le fiamme / di una fantastica irrealtà”; “…sotterro/ il mio grido di dolore”; – “…galleggio, / tra una tristezza languida / e il tormento della lontananza”.
La poesia di Rita Iacomino è il riflesso del suo cuore e rispecchia ciò che ella è: una donna solare, aperta, desiderosa di donarsi senza infingimenti; certo, vi sono nel suo itinerario lirico – come direbbe in un suo epigramma il poeta Marziale – versi più ispirati, più creativi, più riusciti e di rara bellezza, ed altri che cedono il passo a iterazioni, a fisiologiche ridondanze e ad accumuli terminologici. Ma, ad ogni modo, si tratta di un itinerario caratterizzato dal costante bisogno della poetessa di tenere alta la sua meditazione esistenziale con le note d’un canto lirico ora gioioso ora amaro, ora entusiasta ora deluso, ma sempre attraversato da formazione etica ed estetica.
In queste tre raccolte poetiche c’è , per concludere, una tenera trasfigurazione del reale, una delicata sublimazione dell’umana quotidianità della poetessa, una rivisitazione di luoghi, di sensazioni, di pensieri e di sentimenti, un incrocio di esperienze affettive, relazionali e amicali, un tumultuare di scontri analogici i quali dicono che gli approdi poetici più interessanti della Iacomino sono da cogliere lì dove il contenuto del verso supera gli indugi prosastici, evitando la tentazione di rimanere nomenclatura tematica e facendosi, invece, costruzione di significato etico- esistenziale di una coscienza che vive dialetticamente il suo essere nel tempo. Un essere nel tempo che, per la poetessa, non è inganno, ma progettualità di vita, se è vero, come abbiamo cercato precedentemente di evidenziare, che la struttura lessicale ed i nessi verbali della sua poetica trasudano di realismo e di tensione ideale ed emotiva, e scaturiscono da un avvertito processo intellettuale e psicologico che li genera, dando la percezione che l’autrice ha saputo costruire “il ritratto di se stessa”, elaborare un proprio timbro espressivo e conquistarsi una propria personalità letteraria.
“Ostriche a mezzogiorno” è la terza raccolta di Rita Iacomino, ove emerge una poetica in evoluzione e si coglie una incisiva maturità espressiva ed evocativa grazie all’uso di parole che nelle sue liriche “sembrano caricarsi – come scrive Alessandro Quasimodo nella prefazione – di luce ogni volta che sono pronunciate nella lettura”; lettura che egli stesso – afferma – “ama fare ad alta voce: carezza, attesa, sole, mare, sabbia, onde, sogno, inquietudine , solitudine. Brillano e sprigionano il potere evocativo grazie al quale chi legge può immediatamente vedere”.
Anche il titolo di questa terza opera contiene in sé una dichiarazione di poetica; l’ostrica del resto, sin dall’antichità ha avuto un richiamo simbolico, e di essa si è infatti scritto che “emerge dal mare nelle prime ore del mattino, e la sua conchiglia apre la bocca, assorbe la rugiada celeste e il raggio del sole e della luna e delle stelle, e con la luce degli astri superiori produce la perla” (Physiologus-opera redatta ad Alessandria d’Egitto, tra il II e il IV secolo d.C. da autore ignoto).
Ed ancora lo scrittore Plinio dice che “le ostriche nel tempo degli amori si aprono quasi sbadigliassero, si riempiono di rugiada che le feconda e partoriscono poi perle”, mentre nel mondo greco-romano le ostriche erano un cibo ricercato, tant’è che se ne occupa Strabone nella sua “Geografia”, e il poeta Ausonio, nel IV secolo, si cimenta nella stesura di una vera e propria monografia sulle ostriche della Gallia.
Insomma nell’ostrica troviamo una “cifra simbolista” che richiama l’amore, la bellezza, la fertilità, la reciprocità relazionale ed erotico-sessuale; ebbene, su questo versante metaforico e di connotazione simbolica poggia la struttura della raccolta “Ostriche a mezzogiorno”, la quale opera un passaggio dal piano empirico, nel quale le ostriche sono solo considerate cibo raffinato e di lusso da accompagnare con champagne, a quello metafisico, ove le ostriche diventano simbolo dell’amore e dell’ “essenzialità femminile creatrice”; e così, dunque, nella prospettiva poetico-simbolica della Iacomino le ostriche diventano elemento di grande valore umano ed etico, valore di cui appropriarsi ed assimilare quasi come il cibo , “a mezzogiorno” appunto, vale a dire nella quotidianità e nella ferialità della vita e non in occasioni particolari.
L’ostrica di Rita Iacomino è allora la perla della vita “ dove si nasconde / una storia indimenticabile”; rappresenta l’essenza più vera del sentimento dell’amore (“…E fra le pagine polverose / di una memoria viva /, risuona caldo e persistente / sulla bocca, il tuo respiro…”); di un amore che conosce passioni, slanci, ammiccamenti, motivazioni ma anche delusioni: “…Effimera felicità, / forse arriverai domani, / un po’ velata di amarezza e illusione …”; “…Ogni momento è un dono, / l’amore non chiede nulla, solo amore…”.
E’, insomma, un inno alla bellezza della vita e dell’amore nel suo divenire quotidiano questa terza silloge della Iacomino, dove gli elementi archetipici e naturali ( acqua, luce, cielo, fuoco, fiume, mare, notte, luna, sole) vengono declinati nella forma poetica per esprimere sentimenti che pulsano nella sua anima:
“…Ti amo, sussurra l’acqua al fiume”…; – “Odore di fuoco, / allungo le mani e ti cerco…/ Non so rassegnarmi al ricordo di baci proibiti, / all’onda che spinge alla riva / e a te che sussurri / ‘ti amo’…”; – “…E’ un enigma questa notte, / forse passerà un angelo / dirà ‘amen’ e ti vedrò…; – “…Sei lontano e sono lontana, ho consumato il tempo dei momenti magici / prima di lasciarci, / e sogno, / sogno ancora di volare…”.
Un fluire oscillante di sentimenti affettivi tra gioia e malinconia, ricordi e nostalgie, rivisitazioni di spazi temporali e nuove attese (“Sono in attesa / di un tempo che scandisce / lentamente le lancette / mentre il cuore accelera i suoi battiti…”) anima , pagina dopo pagina, la versificazione della Iacomino, che sa tradurre armonicamente in poesia quel sentimento dell’amore che ha sempre rappresentato, dalle origini della storia della letteratura, una tematica fondamentale della poesia di tutti i tempi.
Se poeti hanno visto l’amore come una forza crudele e travolgente, se c’è chi ha espresso con raffinatezza aristocratica, grazia e gentilezza il tema dell’amore, se c’è chi, come Catullo ne ha cantato il volto distonico fino a creare il binomio amore-odio, c’è anche Rita Iacomino che mostra, dalla sua angolazione poetica, di credere nel valore dell’amore:
– come luogo di senso e di significato del vivere;
– come reciprocità di dono corporeo: “…Ho messo lenzuola pulite stasera , / era un gioco tra noi. / Rosse, / come il sangue che pulsa / ingannando l’attesa…”; – “…vibra il corpo / come un’orchestra / che suona / una musica senza fine / in attesa di te”;
– come lamento nel silenzio della solitudine: “…Vorrei fermare il tempo / e inebriare la mente / con le immagini di ieri./ Ma lacrime che non ho pianto /spengono le fiamme / di una fantastica irrealtà”; “…sotterro/ il mio grido di dolore”; – “…galleggio, / tra una tristezza languida / e il tormento della lontananza”.
La poesia di Rita Iacomino è il riflesso del suo cuore e rispecchia ciò che ella è: una donna solare, aperta, desiderosa di donarsi senza infingimenti; certo, vi sono nel suo itinerario lirico – come direbbe in un suo epigramma il poeta Marziale – versi più ispirati, più creativi, più riusciti e di rara bellezza, ed altri che cedono il passo a iterazioni, a fisiologiche ridondanze e ad accumuli terminologici. Ma, ad ogni modo, si tratta di un itinerario caratterizzato dal costante bisogno della poetessa di tenere alta la sua meditazione esistenziale con le note d’un canto lirico ora gioioso ora amaro, ora entusiasta ora deluso, ma sempre attraversato da formazione etica ed estetica.
In queste tre raccolte poetiche c’è , per concludere, una tenera trasfigurazione del reale, una delicata sublimazione dell’umana quotidianità della poetessa, una rivisitazione di luoghi, di sensazioni, di pensieri e di sentimenti, un incrocio di esperienze affettive, relazionali e amicali, un tumultuare di scontri analogici i quali dicono che gli approdi poetici più interessanti della Iacomino sono da cogliere lì dove il contenuto del verso supera gli indugi prosastici, evitando la tentazione di rimanere nomenclatura tematica e facendosi, invece, costruzione di significato etico- esistenziale di una coscienza che vive dialetticamente il suo essere nel tempo. Un essere nel tempo che, per la poetessa, non è inganno, ma progettualità di vita, se è vero, come abbiamo cercato precedentemente di evidenziare, che la struttura lessicale ed i nessi verbali della sua poetica trasudano di realismo e di tensione ideale ed emotiva, e scaturiscono da un avvertito processo intellettuale e psicologico che li genera, dando la percezione che l’autrice ha saputo costruire “il ritratto di se stessa”, elaborare un proprio timbro espressivo e conquistarsi una propria personalità letteraria.